03 settembre 2013

Cu minchia è chistu stalking!

A seguire un piccolo estratto temporaneo e parziale del romanzo che sto scrivendo. Tratta di stalking.


Forse era l’ora torrida, 12,40 dell’11 Luglio, forse perché era ormai da qualche mese che non riusciva a fare più di quattro ore di lavoro consecutive, non ne avevano bisogno di lui; forse non riusciva semplicemente ad accettare che l’amore più grande della sua vita avesse scelto di abbandonarlo.
Così a quell’ora Giovanni, come una pentola chiusa a pressione e da ore sul fuoco, si dirigeva verso casa della sua ex moglie Claudia, convinto di poter rimettere a posto le cose. L’ennesima volta in cui credeva di poterlo fare. La loro figlia Maria Elisa, nata da un’amore che forse una volta poteva dirsi normale, era dalla nonna a mangiare, come tutte le domeniche.
Giovanni aveva tutto il tempo per parlare con Claudia e convincerla che l’amava, anche se aveva fatto qualche errore l'amava, Cristo Santo, non poteva stare senza di lei, la vita non valeva nulla senza di lei.
Claudia era appena tornata dalla villa dei Russo, dove andava ogni domenica mattina alle sei per effettuare le pulizie settimanali. Manteneva la figlia lavorando durante la settimana in un ristorante sul lungomare e nei turni di pausa ed il lunedì, giorno di chiusura del ristorante, facendo le pulizie per alcune famiglie. Quel po’ di tempo che le restava lo passava con la figlia. Sapeva quanto importante erano quelle ore, a volte solo minuti, che le dedicava, per cui non le pesava, sebbene molte volte fosse esausta, soprattutto d’estate, quando c’era il pieno di turisti e il ristorante non si fermava un attimo. A volte perfino dormiva…anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno, lo considerava una perdita di tempo. Non riceveva sussidi di nessun tipo, nemmeno gli alimenti dall’ex marito che aveva più di qualche problema nell’arrivare a fine settimana con qualche euro in tasca. Claudia non gliene faceva una colpa, la situazione economica era in stallo da anni e se non fosse stato per il turismo anche a Cefalù sarebbero rimasti solo gli anziani.
In quell’angolo di paradiso c’era ancora un po’ di posto per i giovani, meno per un ingegnere elettronico come Giovanni che aveva visto chiudere quasi tutte le aziende siciliane per le quali aveva lavorato o chiesto di lavorare, una dopo l’altra, nel migliore dei casi rimaste aperte solo grazie alla cassa integrazione. Di certo non assumevano una persona specializzata come lui, avrebbe preteso troppo; non era il momento di investire.
Claudia entrò a piedi nel cortile del condominio dove abitava, poi nello stabile. La porta d’ingresso era aperta, come sempre in estate; i condomini avevano deciso di comune accordo che era necessario areare la scala.
Aveva in mano 2 buste di spesa con alcuni panini, salsicce, braciole e petti di pollo, un po’ di prugne e una cocomera; tutto l’occorrente per la grigliata serale alla quale lei e la figlia erano stati invitati.
L’ascensore era bloccato, come periodicamente avveniva negli ultimi 2 mesi, così percorse le 6 rampe di scale a piedi per arrivare al terzo piano, interno 3.
Aprì la porta di casa, proprio mentre stava per varcarne la soglia si sentì chiamare. Era Giovanni, seduto sulla settima rampa di scale, dove non avrebbe potuto vederlo se non girandosi.
“Ciao bella.”
Claudia spalancò gli occhi come se avesse visto un fantasma, combattendo per mantenere la calma:
“Cosa ci fai tu qui?”
“Sono venuto a trovarti, voglio solo parlare un po’ con te? Sapere come sta Maria Elisa?”
“Abbiamo parlato già tanto io e te, sai benissimo che non puoi presentarti qui. Maria Elisa sta bene.”
“Non essere polemica come al solito, fai finta che ci siamo incontrati per strada, lavori come una pazza, o ti vengo a trovare a casa o al lavoro; al lavoro non avresti tempo per parlarmi per cui sono venuto qui.”
“Ma noi non abbiamo più niente da dirci; mi hai fatto molto male, mi sveglio ancora nella notte e piango.”
Claudia continuava a parlare con cautela, pesando le parole, sapeva che ogni frase poteva generare un moto di ira in Giovanni.
“Lo so, sono stato uno stronzo, ma sono cambiato; sai quanto ti amo ed è solo per te che io riesco a cambiare.”
“Non ce la faccio più Giovanni, mi devi lasciare in pace, fallo per tua figlia. Non puoi presentarti qui quando vuoi, non puoi chiamare a qualunque ora sul mio cellulare, sul telefono di casa.”
“Voglio solo tornare con te, ricominciare.”
“E’ troppo tardi, abbiamo riprovato 2 volte ed è finita sempre nello stesso modo, io piena di lividi e tu di senso di colpa.”
Giovanni non facendo caso a quelle parole si alzò in piedi dirigendosi verso Claudia che aveva appoggiato le borse della spesa a terra. Provò ad abbracciarla. Lei si scansò.
“Ti prego, lasciami Giovanni.” La voce di Claudia iniziò a dare segni di instabilità, quel tentativo di abbraccio le avevano fatto ripassare davanti agli occhi tutte le botte ricevute negli ultimi 5 anni di matrimonio.
“Ho sbagliato, ma possiamo riniziare; cosa vuoi che faccia per dimostrartelo? Vuoi che mi faccia del male?”
Giovanni si rese conto che la conversazione così non poteva andare avanti, decise di cambiare discorso, e così incuriosito da quelle buste chiese cosa aveva comprato.
“Ho preso un po’ di frutta, una cocomera.”
“E nell’altra busta?”
“C’è del pane e della carne per una grigliata.”
“Una grigliata?”
“Sì, a casa di Gerardo, ha invitato me e Maria Elena per questa sera.”
Si pentì subito di avergli rivelato quell’invito; sapeva benissimo che quella conversazione era sul filo del rasoio, che qualche parola sbagliata avrebbe potuta trasformarla in un turbine di follia.
Giovanni sembrava ancora tranquillo:
“E così vai da Gerardo, sono contento, così avrete un po’ di compagnia almeno.”
Claudia conosceva bene quel modo di parlare, apparentemente calmo, così si affrettò ad aggiungere:
“Scusami, devo andare dentro, devo mangiare qualcosa.”
Giovanni non fece caso a quelle sue ultime parole, la sua mente stava mettendo in fila le informazioni.
“Gerardo. Quel figlio di puttana. Non aspettava altro che ci mollassimo, è da quando eravamo fidanzati che aspetta. Bastasu.”
Ecco il Giovanni che voleva evitare Claudia.
“Siamo solo amici, ci ha invitato a casa sua e basta; io voglio stare da sola.”
“Devo spaccargli la faccia, deve stare lontano da voi, siete la mia famiglia” e guardando nel vuoto “ti vunciu a facci.”
“Non siamo più la tua famiglia, ora non più,” Claudia iniziava a tremare, quel copione l’aveva già visto, il volume della conversazione aumentava “lasciaci in pace, ti prego…”
Giovanni la prese per un braccio, stringendolo forte le sussurrò a denti stretti:
“Tu sei mia, solo mia e stasera non andrai a fare quella grigliata.”
A qualunque cosa si va incontro quando qualcuno ti nega la libertà è difficile accettare una proposta.
“Io ci vado, ci andiamo! Non stiamo più insieme io e te! Faccio quello che voglio! E’ la mia vita!”
“Ah sì, è la tua vita?”
La prese per entrambe le braccia ed iniziò a scuoterla urlando:
“Non è la tua vita, è la nostra vita, tu non andrai da Gerardo, capito!”
“No, non ho capito.”
E le tirò un pugno, la colpì alla tempia, cadde a terrà subito, nemmeno il tempo di urlare. A quel punto da terra con quel po’ di voce che usciva tra le lacrime:
“Lasciami in pace, per favore, ti prego.”
“Adesso ti concio un po’ per le feste così vediamo se hai il corraggio di presentarti da Gerardo.”
Giovanni era diventato la sua ira, i suoi occhi erano sbarrati. Non era finita. Le diede un paio di calci alle costole poi la tirò su per i capelli, rimettendola in piedi:
“Mi hai capito? Guardami negli occhi.”
Con un braccio la teneva su e con l’altro la schiaffeggiava:
“Sei una troia, tu sei solo mia! Stasera starai chiusa in casa.”
Claudia con l’ultimo moto di orgoglio urlò con tutta la forza un no perentorio, liberatorio.
Sempre con lo stesso tono Giovanni:
“Risposta sbagliata.” E le sferrò un altro pugno, stavolta all’occhio destro e poi alla pancia. Cadde di nuovo. Poi un altro calcio mentre era a terra.
Claudia pensava a quando in discoteca si erano conosciuti, perché non si può tornare indietro, perché. Le colava il sangue dal sopracciglio destro, l’occhio era già gonfio, le costole non sembravano più tutte intere. Perché non svengo dal dolore?
Un movimento di Claudia fece rotolare la cocomera fuori dalla busta. Giovanni s’illuminò, agli occhi spalancati si aggiunse un sorriso demoniaco degno del miglior Jack Nicholson. Aveva davanti agli occhi l’arma perfetta, pronto a romperla in testa a Claudia, una cocomera da schiantare sul nido del cuculo:
“Cosa dici Claudia se proviamo a vedere se è buona questa cocomera o se quello stronzo di fruttivendolo ti ha fregato ancora?” Si piegò per raccoglierla.
Una porta di uno degli appartamenti del piano superiore si aprì. Una testa si sporse verso la scala e con voce chiese cosa stesse succedendo.
“Non preoccuparti Salvatore…”, disse Claudia con la cantilena di chi sembra stia per svenire “non preoccuparti.” Poco importava se di lì a poco Giovanni le avrebbe fracassato la testa. Era forse l’orgoglio a parlare, forse credeva che i panni sporchi dovevano sempre e comunque essere lavati in casa, o forse aveva solo voglia che tutto finisse, anche se avesse dovuto lasciare questo mondo.
Salvatore si affacciò alla ringhiera, dopo aver intravisto Claudia stesa si catapultò giù dalle scale. Stava avvenendo tutto in pochi secondi. Giovanni in trance non si accorse di nulla. Tra le sue mani la cocomera issata sulla sua testa a braccia distese, era pronta ad essere spappolata sulla testa di Claudia, che nel frattempo cercava di strisciare senza successo dal pianerottolo all’interno della sua casa.
Salvatore in prossimità degli ultimi due scalini saltò e si gettò per placcare Giovanni che fece giusto in tempo a scorgerlo con la coda dell’occhio. Giovanni perse l’equilibrio e con lui la cocomera che impattando a terra si spaccò in due parti. Sembrava buona, di un color rosso violaceo acceso.
Ma chi era Salvatore? Non era altro che l’allegro settantaduenne del piano superiore, nonno condomino, come lo chiamava l’amministratore. Aveva già assistito ad altre scenate di questo tipo tra Claudia e Giovanni, cercando di restarne sempre fuori e sperando che dopo la separazione le cose sarebbero cambiate. Ma, come Claudia, si sbagliava.
Giovanni, come se fosse stato scoperto dopo una marachella, si rialzò spingendo via Salvatore. Si fermò un istante guardando Claudia distesa a terra:
“Non finisce qui, puttana.” E fuggi via, correndo per le scale.
Salvatore steso anche lui a terra, urlò al palazzo di chiamare un’ambulanza e i carabinieri. I carabinieri erano già stati chiamati, proprio dall’appartamento di fronte a quello di Claudia. Una donna uscì dalla porta:
“Come state? E’ andato via?”
Salvatore la interruppe:
“Perché cazzo non sei uscita prima? Claudia stava per essere ammazzata!”
Con le lacrime agli occhi si rivolse a Claudia:
“Scusami, volevo uscire, saltargli addosso, avevo preso un coltello, ero dietro la porta. Avevo troppa paura. Ho chiamato subito i carabinieri però.”
Di nuovo Salvatore:
“I carabinieri non sarebbero serviti a salvarle la vita!”
Intervenne con un filo di voce Claudia:
“Basta Salvatore, è tutto finito. Grazie per essere intervenuto e grazie Laura per aver chiamato i carabinieri. Ci serve anche l’ambulanza.”
“L’ho appena chiamata. Ora voi state fermi e non vi muovete, potreste avere qualcosa di rotto.”
“Grazie ancora Laura.”
Salvatore tentò di alzarsi, bestemmiò dal dolore, non riuscì a rimmettersi in piedi, gli faceva male un braccio e forse si era rotto un femore. Claudia invece si appoggiò con la schiena allo stipite della porta e decise di non fare tentativi azzardati. Ci avrebbero pensato gli infermieri a trasportarli all’ospedale in sicurezza e secondo le procedure.

La pattuglia dei carabinieri era all’inizio della via in cui si trovava il condominio di Claudia, Salvatore e Laura. L’auto salì sul marciapede dove Giovanni stava camminando a passo spedito. L’autista tirò giù il finestrino.
“Dove va Giovanni?”
“A casa mia, dove volete che vada.”
“Sa benissimo che non può avvicinarsi alla casa della sua ex moglie.”
“Sono solo passato a salutarla.”
“Ah sì? E le urla che hanno sentito i vicini?”
“Era la televisione, il telegiornale, Studio Aperto, un servizio su alcuni vecchi filmati del manicomio di Siracusa che hanno ritrovato.”
La freddezza e la tranquillità con cui aveva esposto le fandonie era tanto disarmante quanto affascinante. I due carabinieri lo guardarono attoniti.
“Non aggiunga altro, per favore, non siamo nati ieri, sappiamo da quanto va avanti questa storia. Salga in auto che parliamo un po’ di ciò che è avvenuto oggi.”
Giovanni si guardò un attimo intorno per capire se qualcuno lo stava osservando, non voleva che la gente sapesse che era salito su una pattuglia dei carabinieri dopo un semplice diverbio, non voleva che la gente parlasse alle sue spalle, odiava il vociare della gente, tutta quell’orda di maiali disposti a rimestare nella merda altrui pur di non sentire il puzzo della propria, odiava quello che la gente diceva di lui e del rapporto con la ex moglie, quando sapevano tutti che la colpa era della moglie, di quella troia, odiava quella troia.
Fortunatamente non c’era anima viva intorno. Immagine salvata, solo quella nella sua testa.
“Ok, nessun problema” sospirò, “quante storie per una piccola discussione.”
Durante il viaggio non parlarono, avevano paura che Giovanni dicesse qualcosa per cui non sarebbero riusciti più a controllarsi; erano le forze dell’ordine e non della vendetta. Lo portarono in caserma. Dopo aver verificato i referti medici di Claudia e Salvatore, stilati ed inviti tramite fax dai medici dell’ospedale, misero in stato di fermo Giovanni, chiudendolo in una delle due celle di detenzione temporanea disponibili nella piccola caserma di Cefalù.

“Lo teniamo una notte in caserma, così si calma un po’, poi gli facciamo un bel discorsetto domani mattina prima di rilasciarlo. Se poi sarà denunciato allora vedremo come procedere sulla base di ciò che dirà il pubblico ministero. Al momento seguiamo il nostro protocollo interno.” Disse il maresciallo Mario Russo più agitato che mai.
“E per la denuncia?” Chiese l’appuntato Rosario Cinniti.
“Vedremo cosa deciderà di fare Claudia, vedremo se lo vuole denunciare o no. I medici hanno detto che possiamo passare verso le cinque dall’ospedale per fare qualche domanda a lei e al signore che è intervenuto per difenderla. Dovrebbero dimetterli direttamente oggi dopo aver fatto tutti gli accertamenti. Li preleviamo e li portiamo a casa noi.”
“Giovanni non è una cattiva persona in fondo.”
“Forse non lo è, ma si comporta come uno stronzo, uno stronzo che tormenta la sua ex moglie; quelli come lui vivono sempre un giorno in più di quanto dovrebbero. Il referto è chiaro. Ha rotto 3 costole, il naso e procurato un trauma cranico alla ex moglie che ha rischiato di perdere anche la vista da un occhio; Salvatore Paternò è intervenuto per aiutarla e come risultato ha una frattura alla caviglia sinistra e una all’omero del braccio destro. Non c’è da aggiungere molto altro, se non che devono smetterla di parlare di stalking; si tratta di reati di aggressione, violenza privata e sessuale, si tratta di omicidi, non di minchiate e di inglesismi di cui non sappiamo nemmeno il significato.”
“Sì, ma non possiamo dimenticare di chi è figlio...”
Mario per la rabbia diventò rosso in viso. “Non me ne frega un cazzo, per me può essere anche il figlio di Giuseppe e Maria, non cambierebbe nulla. Noi dobbiamo salvaguardare i cittadini, fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità.”
“Ok” con poca convinzione Rosario.
Leggendo nel suo sguardo l’indecisione il maresciallo s’infervorò ancora di più:
“Cosa c’è? Hai paura della sua famiglia? Hai paura di un coglione di prima categoria come Giovanni Florio? Mi vuoi dire da che parte stai? Qui sembra che non succeda mai niente mentre sotto sotto è pieno di marcio. Noi dobbiamo andare oltre la superficialità, dobbiamo stare un passo avanti rispetto alla gente comune. Se facciamo finta che non succeda niente noi, come possiamo chiedere alle persone qualunque di fare altrettanto.”
“Non dire a me come bisogna comportarsi. Sai benissimo perché sono entrato nelle forze dell’ordine. Conosci la mia storia e soprattutto com’è finito mio fratello.”
“Appunto, a volte sembra lo dimentichi.”
“Non lo dimentico, sai quanto è dura, per te che vieni da un altro posto è semplice, non hai legami qui, io sono cresciuto qui, le mie radici sono qui, io ho convissuto per anni con la linea grigia che passa dai soggiorni delle case, con il sentimento del vorrei ma non posso che attraversa le anime delle persone; la voglia di urlare, ribellarsi al sistema, la paura di perdere tutto.”
Mario riprese in tono paterno e stavolta pacato:
“Io so solo che quello che hai fatto finora è stato encomiabile, non sei rimasto uno dei voglio ma non posso; per questo non devi avere ripensamenti, devi continuare a seguire la strada che hai scelto, è quella giusta.”
Rosario avrebbe voluto entrare nella cella e finire di botte Giovanni, chiamare poi suo padre e suo zio e fare altrettanto. Si limitò solo a dire:
“Allora aspettiamo le cinque meno un quarto e poi andiamo all’ospedale di Palermo per incontrare i due malcapitati. Che ore sono?”
“Le due e trentacinque. Noi stiamo qui a sorvegliare visto che ci sono già altre due pattuglie fuori.” Il maresciallo si rivolse al terzo carabiniere che era lì con loro e che faceva perlopiù lavori di ufficio e gli disse di andare a casa, visto che il suo turno era finito già da un’ora e mezza.

Tornando indietro dall’ospedale chiesero se avevano avvisato qualcuno. Risposero entrambi di no, che se la sarebbero cavati da soli. Come sempre. Claudia non voleva spaventare la figlia e nemmeno i nonni che avevano una certa età, una volta a casa li avrebbe sentiti. Salvatore era vedovo e i suoi figli erano tutti emigrati al nord, c’era tempo per chiamarli e forse nemmeno si ricordavano di quel vecchio rincoglionito.

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